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2006 - Cristina Ricciardi

Forse non tutti sanno che il Mar Mediterraneo si trova nei paraggi del Colosseo, al secondo piano di un vecchio palazzo situato in un suggestivo quartiere romano, in prossimità delle basiliche di San Clemente e di San Giovanni in Laterano. Una carta geografica che varrebbe la pena di riscrivere, perché lo studio di Giuseppe Modica, usando una metafora messa in atto dal pittore stesso, è la stanza in mezzo al mare', la sua isola, il suo liquido campo magnetico.
La testimonianza più bella sull’immenso passato del Mediterraneo scrive il grande storico francese Fernand Braudel è quella che fornisce il mare stesso. Bisogna dirlo e ripeterlo. Bisogna vedere il mare e rivederlo'. E proprio lì, in quello studio, dove ogni dipinto diviene una finestra aperta sull’azzurro e sulla luce, ti accorgi di sentire il mare, un mare che non è più quello della realtà e neppure la sua rappresentazione, ma un’altra cosa ancora, sospesa nello spazio intermedio che vi intercorre, come solo un grande pittore riesce a svelare.
La quintessenza della mediterraneità è dentro una stanza che è l’atelier dell’artista, intrisa di mondi medio-orientali, romani e greci, di continui rimandi che accennano tanto all’instabilità dell’acqua come delle cose,; una stanza che ci lascia comprendere appieno, attoniti e immersi, il fascino acquoso e solare del “continente liquido', come Braudel amava definire il Mediterraneo, ampio bacino che mette in contatto l’Europa, l’Africa e l’Asia, antico crocevia di razze e di civiltà. Ed ecco, che nella stanza del pittore, alle bianche saline, fanno eco le piramidi egizie, così come alla solare rotondità dei limoni, dono degli arabi, le circolari cupole islamiche, ed alla morbida pienezza delle nuvole che transitano e si riflettono sui vetri, quella delle dolci e levigate sinuosità femminili, non di terrene creature ma piuttosto di dee, appartenenti a questo stupefacente olimpo che va da Gibilterra al Bosforo, in un lungo perimetro di coste, in cui si affacciano popoli europei,asiatici ed africani.
Giuseppe Modica è nato a Mazara del Vallo, e questo è il mondo che si porta dentro, e che ci restituisce, integralmente riscritto sul filo della memoria e dell’immaginazione. La memoria è ciò che rimane del passato, la traccia di quello che è stato, la sua rifrazione, che trova nello specchio, l’artificio scenico reiterato dall’artista per sottrarsi alla rappresentazione descrittiva della realtà: un riflesso è in fondo solo un riflesso e non può certamente disturbare nessuno! Ma se la memoria è il congegno a scatto che tira fuori i contenuti, l’immaginazione è la novità di un contenitore fatto di inedite spazialità. È la capacità di riscrivere, di reinventare un luogo, rigenerandolo pittoricamente, determinando la poeticità di una visione che è altra cosa dalla realtà.