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1997 - Claudio Strinati

Modica sta dentro la sua stanza e da lì osserva. Nel suo lavoro c’è una logica analoga a quella della Finestra sul cortile di Hitchcock: per quanto ci si possa sporgere, sforzandosi di guardare oltre il limite consentito dalla finestra della nostra camera, non sarà possibile allargare il campo visivo nemmeno di un millimetro. Cosi è, e cosi resta. Certo si potrebbe cambiare luogo di osservazione ma non in un’idea estetica. L’arte può ben essere una costrizione e, anzi, spesso e volentieri lo è. Del resto non è strano. Se si crede alle possibilità dell’arte, si deve credere anche alla necessità dell'arte stessa e l’idea della necessità confina quasi con quella di costrizione, senza nessun contrasto con il principio, certo irrinunciabile, della libertà delle idee, perché queste costrizioni sono creazioni, appunto necessarie, dell’artista e non c’è migliore libertà di quella che ci siamo imposta. Non è certo monotona la serie serratissima dei dipinti che Modica è venuto costruendo negli anni, ma è evidentissimo come, tutti insieme, questi dipinti rendano l’idea di un diario visivo, dove i temi si accumulano, si confrontano, si integrano. Chi esamina il complesso delle opere scopre una continua, lenta ma inarrestabile transizione, condotta con una coerenza e una dedizione che ricordano la mentalità di Mondrian negli ardui anni della maniera astratta. Nella imperitura dimensione della classicità, non certo contraddetta ma anzi riconsacrata da certi nostri grandi maestri dell’informale, Modica lavora con la coscienza del saggio che, individuato il proprio campo visivo, vi abita con convinta attenzione e sprofonda sempre più nel materiale che ha predisposto.