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1993 - Antonio Tabucchi

Testo letterario per la cartella di incisioni in omaggio a Fernando Pessoa, Edizioni Sciardelli, Milano


Le vacanze di Bernardo Soares

La mattina del ventiquattro dicembre del 1934 Bernardo Soares si svegliò presto e si vestì con gli abiti migliori. Indossò la giacca che gli aveva regalato il suo capufficio, una bella giacca di un tweed caldo che la ditta Vasques importava da Londra, e calzò un paio di scarpe con le ghette immacolate. Preparò con cura una piccola valigia che stava aperta sul cassettone. Vi dispose la biancheria, le camicie di ricambio, il pullover grigio, le gocce per il raffreddore, il balsamo per la tosse, la soluzione di laudano per l’insonnia, un lume a petrolio, il manuale di Uzbeko per un viaggio che aveva sempre sognato di fare a Samarcanda e l’ultimo quaderno del suo diario, già riempito a metà. Era la vigilia di Natale e chissà perché pensò che sarebbe stato il suo ultimo Natale. Per la verità non glie ne dispiaceva molto, il suo unico rammarico era di non essere mai andato a vedere le cupole dorate di Samarcanda.

Il signor Vasques gli aveva promesso che alle nove in punto gli avrebbe mandato la macchina con l’autista e Bernardo Soares si affacciò alla finestra anche se erano solo le otto e mezzo. Pensò di ingannare il tempo facendo una cosa utile e si mise a scrivere una lettera di auguri natalizi all’unico amico che aveva. Amico non era proprio la parola, era poco più di un conoscente, ma si trattavano con affabilità, quasi tutte le sere cenavano assieme nel mezzanino di una vecchia trattoria della Baixa e conversavano di letteratura. Bernardo Soares prese carta e penna e in piedi, appoggiato al comò, scrisse:

«Caro signor Fernando, questo Natale non ceneremo assieme nella nostra solita trattoria. Vado a passare qualche giorno di vacanza, almeno fino a capodanno, a Cascais, in una casa che appartiene a una ditta di import-export italo-portoghese, la Modica Ԑ Guimarães Limited, che intrattiene ottimi rapporti con la ditta presso la quale lavoro io. Il signor Vasques, mio capufficio, ha in custodia le chiavi della casa, perché i proprietari, che vivono a Parigi, vi passano solo qualche settimana durante l’estate. Credo che la casa presenterà qualche inconveniente, perché non c’è riscaldamento ed è disabitata da molti mesi. Inoltre i pavimenti sono in cattivo stato e non c’è corrente elettrica. Ma credo di poter ovviare indossando abiti pesanti e portandomi un lume a petrolio. Come le avevo detto l’ultima volta che ci siamo visti, è mio desiderio descrivere un’alba e un tramonto sul mare, perché vorrei osservare direttamente le diverse gradazioni di luce che si verificano in questi momenti del giorno. Pare che la casa in cui vado a passare le mie vacanze abbia una bella terrazza che si affaccia sul mare, e passandoci qualche ora non mi dovrebbe essere difficile descrivere con una tavolozza di parole le luci dell’alba e del tramonto. Per chi scrivo e perché scrivo, caro signor Fernando? Francamente non saprei darle una risposta. Scrivo per me solo, certo, perché io sono il mio unico lettore, e non ho desiderio né ho mai pensato di pubblicare ciò che scrivo. Scrivo dunque per raccontare a me stesso, come se fossi un altro, le cose che io stesso penso in questa mia vita di solitudine; oltre che per placare l’inquietudine che accompagna le mie notti. Le faccio i migliori auguri per questo Natale, uniti ai migliori auspici di un buon 1935. Suo Bernardo Soares»

In quel momento sentì un colpo di clacson e capì che la macchina del signor Vasques era arrivata. Si infilò la lettera in tasca ripromettendosi di impostarla durante il viaggio, chiuse in fretta la valigia e scese. L’autista del signor Vasques lo aspettava appoggiato all’automobile, fumando una sigaretta. Bernardo Soares lo salutò e depositò la valigia nel portabagagli. Si fermi dal carbonaio dell’angolo, per favore, disse, devo prendere una cosa.

Il carbonaio lo aspettava sulla porta e aveva già in mano Sebastião appollaiato sul trespolo. Sebastião era un vecchio pappagallo che sapeva dire qualche parola e che il carbonaio gli aveva promesso in prestito per qualche giorno affinché non si sentisse troppo solo nelle sue vacanze a Cascais. Bernardo Soares sistemò Sebastião sul sedile posteriore e la macchina partì. Era una bellissima giornata di sole e non faceva freddo: non pareva affatto la vigilia di Natale. L’autista, che conosceva a memoria tutti i fados della Severa, gli chiese il permesso di canticchiarne uno, e Bernardo Soares, anche se non amava il fado, glielo concesse volentieri. Quando arrivarono a Cruz Quebrada dovettero fare un po’ di coda, perché un cavallo da tiro era stramazzato sotto il peso del baroccio ed era caduto di traverso sulla careggiata. Il barocciaio cercava di farlo rialzare fra mille imprecazioni, ma la povera bestia non sembrava avere nessuna intenzione di rimettersi in piedi: teneva la testa adagiata sul selciato e aveva lo sguardo vitreo. Carne da bistecche, disse l’autista, sarà questo il suo Natale. Dopo Cruz Quebrada l’autista smise finalmente di canticchiare e Bernardo Soares si mise a contemplare il paesaggio e le gradazioni della luce che venivano dall’orizzonte. Quando attraversavano Paço d’Arcos Bernardo Soares pregò l’autista di fermarsi un attimo di fronte all’ufficio postale e scese rapidamente ad impostare la lettera. Sebastião si era addormentato sul suo trespolo e l’oceano era di un azzurro metallico.

Bernardo Soares non era mai stato a Cascais, e quando la attraversarono si mise a osservare dal finestrino quel grazioso villaggio di pescatori ai bordi del quale sorgevano le ville delle persone ricche di Lisbona. L’autista aveva imboccato la strada del Guincho, una strada deserta sulle falesie che costeggiavano l’oceano. Infilarono il cancello di ferro di una costruzione solitaria che sorgeva in un parco e la macchina si fermò. Siamo arrivati, disse l’autista. Bernardo Soares non riusciva a credere ai suoi occhi. Guardò la casa e contò venti finestre. Era una villa magnifica, anche se la facciata era in cattive condizioni per via del salmastro e delle intemperie. Discese Sebastiã e la valigia, l’autista gli aprì la porta e gli lasciò le chiavi. Buone vacanze, signor Soares, disse l’autista partendo.

Bernardo Soares restò solo sullo spiazzo, si sedette sugli scalini e si mise a guardare il mare. Pensò di nuovo che era il suo ultimo Natale, ma pensò anche che non aveva importanza. Poi tirò fuori un pacchetto di Provisórios e si mise a fumare una sigaretta.